Incroci pericolosi, ed evitati, imprese costruite ed altre taciute, e l’abatino che si incazza… ma col codino we have a chance.
Al rombo del cannon
Qualche settimana fa Saverio da Nus, a.k.a. il Fenicottero di Nus (trade-mark mio, ma a qualcuno piace dimenticarselo) è salito sullo Stelvio a corse, dalla strada, a tempo di record.
Un record che durava da 16 anni (Giuliano Battocletti, anno 2005) e che, technically, esprime più di molti altri la qualità del motore e della meccanica, sublimate a livelli altissimi.
Long Story
Conosco Xavi da quando era allievo, ricordo un articolo a firma Germanetto (che ancora non lo allenava) su un numero de La Corsa in cui il tecnico di Susa raccontava dei barlumi di classe sconfinata che aveva notato nel ragazzo.
C’ero nel 2009, imboscato dentro un furgone messo a disposizione dalla TV ed in cui speakerava Giovanni Viel mentre Xavi vinceva il mondiale Juniores di mountain running all’Alpe Motta, rinverdendo fasti che sembravano antichi ed oggi sono quasi preistoria.
C’ero nel 2017, alla Veljika Planina di Kamnik, quando si prese il SUO europeo. Di quelle imprese ho raccontato, ho scritto, ho intervistato col mio stile improbabile ed invasato.
Xavi è uno che non si prende sul serio, lo dice lui stesso facendone una sorta di manifesto bandiera, eppure vi dico che nessuno in questi anni, a parte Berny Dematteis ma questo è un capitolo a parte non apribile oggi, ha dimostrato tanta deferenza e tanto amore verso questo sport. Quando ha preso schiaffi in gare dove si è messo in gioco non l’ha piegata su con approcci filosofici, ma l’ha catat sù e la purtà a ca. C’ero nei giorni di giubilo descritti prima ma ero anche a Zinal quando nel 2015 rimediò figura barbina (Torneremo Mitico Scola, cosi hai scritto sul mio taccuino, con la “C” … maledetto) e c’ero, ça va sans dire, nei due Fletta corsi da protagonista, con velleità altissime, ma chiusi con l’amaro in bocca (in uno anche con la cagarella, narra la leggenda).
Ecco, li l’ho misurato nella serietà, che rifugge a parole, forse, mai mai nei fatti (e questo conta, tanto), con cui ha metabolizzato i fallimenti, senza distacco, senza fuggire, semplicemente “perdendo” come uno sportivo vero deve saper fare.
Quando ha domato a tempo di record i tornanti della cima Coppi per eccellenza si è scatenata una ridda di comprensibili polemiche per l’assenza di una soddisfacente copertura mediatica, e l’occasione è stata ghiotta per poter intraprendere una crociata più ad ampio respiro che mettesse a nudo la pochezza della comunicazione in questo preciso ambito sportivo. Nella corsa in montagna, trail, skyrunning che dir si voglia, “il racconto” è filtrato, drogato, mistificato da numerose dinamiche che poco hanno a che fare con la prestazione, la tecnica e la competizione. Sta guerra ai lustrini ed ai coriandoli fa onore a chi l’ha condotta, non sostengo il contrario, forse però è giunto il momento di capire che solo con i fatti potremo girare le cose, smettendola di scendere a patti con certe dinamiche ma badando solo al sodo, al primo non prenderle, e colpire in contropiede.
Perchè non c’è onta nel vincere in contropiede, e le cose belle di questo sport non hanno bisogno ne delle dolomiti ne del monte bianco, quello che conta sta sul sentiero….
Giuan Fu Carlo
Il caro amato contropiede, la capacità tutta Italiana di resistere, arrangiarsi ed attendere il momento buono, in silenzio, con fede incrollabile. Teorie alla Giuan Fu Carlo, massimizzatore della propria logica sportiva, costruita in anni di imprese vissute e raccontate a bordo campo o sull’ammiraglia della stampa, rafforzata da serate a rosso dell’oltrepò e carrello dei bolliti. E se vi dicessi che è li che troveremo le risposte ? Torniamo ai capponi lessati, alle patate di campo ed alla salsa verde, basiamo il racconto sul campo di gara e facciamo poesia sul fango, sul sangue e sulle batoste.
Ai tempi del Giuan era famosa la diatriba con Gianni Rivera, l’abatino. Il cronista di San Zenone Po, spesso sopra le righe e cieco difensore delle proprie convinzioni tecniche e di costume, contro il Campione, il Golden Boy di Alessandria, l’idolo delle folle.
At final
Quando leggo le storie e i post al vetriolo dell’odierno golden boy, Fra Puppinho da Guanzate, che mi taccia di ebetismo tecnico e non perde occasione per scavare solchi tra il popolo eletto da 2’50” al mille ed i pressapochisti beoni che sparano cazzate in un microfono, mi sento come Giuan Fu Carlo, e rivedo nella sua doarata e folta capigliatura l’abatino.
Poi mi ricordo che io scrivo molto peggio di Brera, che lui sposta meno folle di Rivera, che forse questa nostra battaglia non porterà mai a nulla e che ci stiamo perdendo i momenti più belli che la corsa in montagna come la conosciamo noi sa regalare, per andare a cercare l’isola che non c’è, aspettando Godot.
Per fortuna c’è Saverio, che zitto zitto riporta la barra a posto, riporta la quiete, e poi c’è quel taccuino . . . .
Mitico Scola, torneremo !! . . .
Xavier Chevrier, 9 Agosto 2015, Val d’Anniviers
. . . show me codino . . . show me
Ph. credit : (cover: Alexis Courthoud – inside: Skola)