Nulla è scontato ne ovvio, quei due trofei di cristallo con sopra riprodotto il globo terraqueo nel pomeriggio di domenica 10 ottobre 2021 passeranno dalle mani di Jono Wyatt a quelle di due mountain runners che li hanno meritati, sudati, conquistati, vinti. Non c’è altro da dire in questo contesto, se non riconoscere la superiorità (yes, I wrote it) dei due atleti che li alzeranno al cielo di Chiavenna.
Le (giuste) osservazioni ed i salaci appunti alla debolezza del format, ad alcune tappe raffazzonate dal punto di vista mediatico, alla rivedibilità del sistema di punteggi bonus e classifiche, non intaccano ciò che sta tra lo sparo dello start e la fettuccia della FINISH line, li in mezzo si è corso, talvolta fortissimo, in ogni condizione , su ogni terreno. Li in mezzo è stato Mountain Running, forse talvolta annacquato da eccessive strizzate d’occhio al mondo Trail (che francamente…) ma in definitiva chi vincerà ed iscriverà il proprio nome nella galleria della coppa del mondo si è dovuto “sporcare” e domenica guarderà tutti dall’alto, chi parlerà avrà torto, a prescindere, perché conta solo la coppa, e chi non la alza …. muto.
Posizione forte, ma doverosa, perché altrimenti si rischia sempre di raccontare la corsa in montagna su coriandoli e lustrini mentre che si voglia o no questo era un duro percorso che per essere domato andava affrontato con umiltà ed abnegazione. Potremo sempre sostenere che i soldi non fossero sufficienti, che il live coverage non fosse all’altezza, che la birra a volte era tiepida, ma chi lancia le palate e gli strali verso l’inconsistenza del circuito non ha corso 8 o 9 prove fottutamente reali nei km, affrontando viaggi, alloggi improbabili, allenamenti, infortuni, imprevisti e cambi di programma, talvolta appunto in un contesto da farsi delle domande. Sarà stata una scelta, e nessuno discute le scelte, ma chi ha lottato merita rispetto e nessuna discussione: you are the champion, period.
tHE fINAL
La grande finale offre un minimo di pathos, perché se le vittorie di Njeru e Aymonod sembrano inevitabili, conti alla mano la partita non è chiusa e se nello sport tutto è possibile allora sognare è ancora possibile per il magiaro Sandor, il volto del sistema wmra, e per la gallese di stanza in scozia Charlotte Morgan, protagonista della storia più incredibile di questa world cup, la mia preferita.
Testimoni del tempo e della storia Alice Gaggi, Lucy Murigi e Gikuni Ndungu , completeranno in ordine sparso i due podi, dopo aver lottato con onore, nel percorso (cit. Lele Adani).
Sandor, devoted
La pagina atleta del world ranking dell ungherese parla chiaro: 9 gare, tutte del programma World Cup. Conosce il regolamento meglio di chi lo ha scritto (belive) , lo ha interpretato nella maniera perfetta ed arriva alla vigilia della finale con il primo posto virtuale. Il vituperato presenzialismo di Szabo offusca ingiustamente gli enormi progressi tecnici compiuti dal ragazzo che in questa stagione non è naufragato alla prima vera difficoltà ma ha mantenuto un rendimento credibile e solido per tutta la stagione, levandosi anche qualche soddisfazione.
Non è Sandor da discutere per aver inseguito il proprio sogno con ostinazione, ma piuttosto la WMRA a chiedersi se il sistema non necessiti di alcuni accorgimenti. Per Sandor ne valeva la pena di fare tutti quei viaggi, un atto di devozione verso queste gare, questa competizione, questa atmosfera, dovremmo farci delle domande anche noi tutti e non perdere tempo in facili critiche (peraltro non sempre elegantissime).
Charlotte , to hell and back
Gallese ma di casa ad Edimburgo, alla vigilia del mondiale 2019 si apre un ginocchio in due. Si fa ricucire alla meglio, stringe i denti e vola in Patagonia dove crolla e perde il titolo mondiale long distance che aveva conquistato un anno prima con l’impresa di Karpacz. Torna dalla debacle Argentina e un altro incidente, allo stesso ginocchio, le causa una ricaduta con pericolo infezione annesso. Passa mesi difficili in cui fatica a muoversi sulle proprie gambe, indebolita ed in crisi profonda, la pandemia fa il resto. Sull’orlo di diventare una ex atleta con problemi di salute seri si rialza e con tutta la sana follia gallese che la contraddistingue impacca lo zaino e parte per il vecchio continente. Polonia, Spagna , Austria. Quando dopo Grossglockner le stanno scadendo i giorni e deve uscire dalla EU fa due conti, c’è la Bosnia li vicino (la Bosnia ??) e perché no, vola nella sconosciuta terra balcanica e per una settimana vaga sulle montagne in tenda (!!). In questa stagione ha vinto in coppa a Tatra Race, Canfranc e Zumaia, si è piazzata terza nella Tatra Sky. Tutte prove long nelle sue corde. Ma è nell’immane sofferenza del decimo posto al grossglockner, del sesto al ciolo , nel quattordicesimo al nasego che mi crogiolo e mi esalto. Gare non sue, in cui ha dovuto aprire la valigia dei trucchi, i conigli dal cilindro, raschiato tutto il raschiabile, ravanage sui sentieri e dentro se stessa, sputando la bile. Dopo Ciolo era talmente svarionata per lo sforzo fatto che girava col piumino a 30 gradi (seen with my eyes). This is HOOLI, tanto, ma tanto, rispetto per Charlotte Trainspotting Morgan !
E’ tutto qui, start & finish, in mezzo succede che ci si prova, ci si scanna, si affronta un percorso che alla fine dirà chi sei. Non è tutto cristallo quel che luccica, lo sò, ma per questo giro guardiamo ed applaudiamo. They deserve!